Narrano gli antichi scriba di questo meraviglioso sport denominato tennis che in principio le chiavi del Regno di Wimbledon furono forgiate e consegnate, con buona pace del vecchio maestro Perry che da anni bramava l'avvento al trono di un erede di nobile sangue inglese, a Bjorn l'Orso. Il figlio di Odino con la racchetta era atleta forte, preparato, meticoloso e per queste qualità regnò sulla perfida albione per ben un lustro. E quando quasi più nessuno osava avvicinare il Golia nordico, arrivò da oltre oceano un ragazzetto, più bullo che bello, di nome John McEnroe a cambiare il corso della storia.John, come disse bene Tim Adams, era l'Holden Caufield della racchetta. Un talento puro, abbagliante, ma "incapace e restio a crescere". Un campione "complesso, con molti conflitti irrisolti e costantemente in lotta con le falsità delle autorità sportive, i guardalinee addormentati e gli organizzatori di tornei con tanto di walkie-talkie". SuperMac era un adorabile stronzetto, come lo si poteva essere solo in quei ruggenti anni 80. Era come la (sua) Nuova York di quel tempo: ribelle, annoiato, viziato ed incivile, ma impossibile da non amare. John era i Rolling Stones del tennis giocato e parlato (o insultato, fate vobis). Irritava tutto e tutti, ma era anche ammirato da quasi tutti. Il perchè è presto detto: fu l'unico ad avere il coraggio e la follia di sfidare il Thor dalla luccicante armatura italiana.
Non si inchinava alla Regina, figuriamoci a Bjorn l'Orso. Cose "turche", mai viste e mai accadute nè prima nè mai più dopo nel Tempio. Materiale da epica dello sport anche e soprattutto per questo.
"L'ho visto uccidere Golia con una cerbottana, e vincere tornei solo per la sua presenza. Per il fatto di essere John McEnroe" diceva Peter Fleming, fido scudiero di doppio del SuperBrat. Fu profetico perchè l'asso statunitense prima irretì e poi sedusse, con il suo inimitabile servizio e le sue impossibili stoccate di volo, il biondo svedese e appena un anno dopo, nella Grande Battaglia del 1981, divenne lui il massimo. In un lampo di genio e classe rovesciò ed eclissò il regno di Bjorn a Wimbledon.
L'Orso cadde pesantemente e purtroppo non seppe più rialzarsi. Se ne andò alcuni anni più tardi portandosi via anche la perfezione e la felicità del leggendario avversario americano.
I grandi tennisti, come tutti i grandi sportivi, non possono esistere da soli: hanno bisogno di una nemesi, di un animale da competizione loro simile che li spinga oltre i propri limiti. Sampras aveva bisogno di Agassi, Alì di Foreman, Coppi di Bartali e invece John, senza Borg, si sentì più solo.
"Lui mi accettava" confessò anni dopo il ribelle. "C'era un livello di rispetto che non ho mai raggiunto con nessun altro. Era come se mi dicesse: "Senti, stiamo tirando una pallina da tennis da una parte all'altra della rete, ed è un modo strafico per guadagnarsi da vivere". Io diventavo matto, e pensavo che mi avrebbe dato del coglione da un momento all'altro. Era una cosa fantastica."
C'erano altri valorosi principi della racchetta, da Ivan il terribile al corsaro Jimbo, ma non era più perfetto per l'irriverente BigMac. John continuò a batterli, loro e i meno nobili Chris Lewis, che irrispettosamente gli si paravano di fronte nel Tempio, ma... ma non aveva più la stessa sensazione di perfezione che provava duellando contro lo svedese. A detta di molti, l'assenza gli lasciò un'aria ancora più inviperita, rabbiosa e frustrata. Traspariva chiaramente, anche quando stravinceva come nel 1984, la sensazione che gli mancasse qualcosa. Quel qualcosa di nome Borg.
"Di tanto in tanto scendevo in campo per allenarmi e pensavo: "Ehi, oggi voglio fare come Bjorn, non dirò niente. Durava forse per cinque colpi. Mi sembrava innaturale... Certo, c'erano altri grandi rivali - come Lendl e Connors - ma con Borg era più naturale. Avevamo personalità e stili di gioco così diversi che non c'era bisogno di aggiungere altro.". BigJohn finì con il perdersi d'animo nelle discese a rete e smarrì pure le chiavi del Regno. Il Fato le raccolse e le depositò saggiamente nelle divine mani di un mocciosetto teutonico dalla zazzera biondissima e il Tempio fu salvo. Ma questa, come si dice, è un'altra storia. Oggi le chiavi del Tempio, dopo il favoloso regno di Pietro il Grande, sono gelosamente custodite nella Roger Swiss Bank... almeno fino a lunedì, quando quello stesso magico Tempio ci racconterà un altro capitolo di questa bella storia infinita.
Ci siamo, il Torneo è vicino e domani conosceremo i tabelloni. Ci mancheranno un pò Bjorn e John, ma soprattutto speriamo che Rafael non lasci troppo solo il campione Roger. Buon Wimbledon a tutti.
The Championships - Wimbledon 2007 Official Site
Tim Adams - Essere John McEnroe - recensione ibs.it


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